Capitolo VI - Progresso di S. Giuseppe nelle virtù e favori che riceve da Dio

 

Consigliere umile e prudente - Il nostro Giuseppe aveva già compiuto sette anni e a questa età mostrava grande senno, più di un uomo di età matura. Le sue parole gravi e le sue opere tutte perfette erano tali che suo padre, dovendo prendere consiglio circa le cose importanti e di rilievo, non trovava miglior consigliere che il proprio figlio, e tutto gli riusciva bene con il consiglio che lui gli dava, perché era molto illuminato da Dio, e non sbagliava mai nel suo parere, perché trattava tutto con Dio nella preghiera. I suoi genitori non facevano nessuna cosa, se prima non avevano chiesto il parere del figlio, sapendo per esperienza che quello che lui diceva riusciva a puntino; ma il nostro Giuseppe si comportava in questo con tanta umiltà e sottomissione, che i suoi genitori stessi rimanevano meravigliati. Egli diceva loro il suo parere e poi aggiungeva:«Io vi dico questo, secondo quello che so essere giusto e che si deve fare; voi considerate bene il tutto e fate quello che conoscerete essere meglio e piùgradito al nostro Dio». Poi, rientrando di nuovo nell'orazione, pregava Dio di illuminare i suoi genitori, affinché avessero operato tutto quello che era di suo maggior gusto, non fidandosi mai di se stesso e giudicandosi una creatura vilissima e miserabile. Si umiliava molto al cospetto del suo Dio e quando i suoi genitori gli chiedevano il suo parere e qualche consiglio, ne sentiva una grande confusione, e parlava solo per obbedire e perché Dio rimanesse glorificato in tutte le cose. E Dio non mancava di prevenirlo sempre più con le sue grazie e di illuminarlo chiaramente, sia nell'orazione sia per mezzo dell'Angelo che gli parlava nel sonno, benché questo, a misura che egli andava crescendo, gli parlava più di rado, perché, oltre i lumi che Dio gli comunicava con più pienezza, veniva anche istruito con la lettura della Sacra Scrittura.

Cintura celeste - Una notte, però, mentre il nostro Giuseppe dormiva, l'Angelo gli apparve nel sonno e gli disse che Dio aveva gradito molto il suo proposito di conservarsi vergine per tutto il tempo della sua vita e che gli prometteva il suo favore ed aiuto particolare; e mostrandogli una cintura di incomparabile valore e bellezza, gli disse: «Questa cintura te la manda il nostro Dio in segno del gradimento che ha avuto del tuo proposito e della grazia che tifa di poter conservare sempre illibato il candore della tua purezza, ordinandomi che io te la cinga».Ed avvicinandosi a lui gli cinse i fianchi con quella cintura, ordinandogli di ringraziare Dio del favore e della grazia che gli concedeva. Quando si svegliò, il nostro Giuseppe si alzò subito e inginocchiato a terra adorò il suo Dio e lo ringraziò affettuosamente per il beneficio che gli aveva fatto e per il dono che gli aveva inviato, per mezzo del quale non ebbe mai alcuna cosa che lo molestasse in questo particolare. Benché il demonio lo assalisse con varie tentazioni, come si dirà a suo tempo, su di questo però non poté mai molestarlo in nessun modo, non permettendo Dio che il nemico lo assalisse con tentazioni contro la purezza, conservando in lui una purezza mirabile in modo che fu ben degno di trattare e di avere in custodia la Regina delle Vergini.

Grande grazia promessa - Un'altra volta l'Angelo gli parlò nel sonno e gli disse che Dio aveva destinato di fargli un dono molto grande e sublime non sapendo però che cosa fosse, ma che intanto gli manifestava la grazia che gli voleva fare, affinché lui si fosse impegnato a supplicarlo e se ne fosse reso degno con la pratica delle virtù e con le suppliche, perché il suo Dio godeva molto di essere pregato, e che alle grazie e favori grandi vuole che precedano grandi orazioni e preghiere. Sentito questo il nostro Giuseppe non fu curioso di investigare quale fosse questo favore e questa grazia sublime, ma si mise con tutto lo spirito a supplicare il suo Dio; e da quel momento in poi, lo supplicava con grande premura di due grazie: una era che accelerasse la venuta del Messia, e l'altra era che gli facesse la grazia che gli aveva fatto promettere dall'Angelo. Domandava a Dio molte altre grazie, ma queste due gli stavano molto a cuore. Questa grazia e dono sublime era il dargli per sposa la Madre del Verbo divino; non lo seppe mai fino a quando non la ottenne, benché nemmeno allora gli fu manifestata la Maternità divina. Mentre il nostro Giuseppe continuava a domandare le suddette grazie, sperimentava una grande consolazione.

Estasi sublime - Una volta, fra le altre, fu rapito in un'estasi sublime, nella quale gli furono manifestate le virtù che il Messia avrebbe praticato quando sarebbe venuto al mondo per vivere fra gli uomini, tra le quali l'umiltà e la mansuetudine che avrebbero spiccato a meraviglia, come anche tutte le altre e Giuseppe se ne invaghì tanto e pose tanto affetto a queste virtù che bramava praticarle ed arrivare a possederle, e perciò non mancò di porre tutto lo studio e la diligenza per acquistarle. Ed era mirabile il profitto che faceva in queste virtù, ed esortava anche le persone di casa dicendo loro che praticassero quelle virtù, perché piacevano molto al suo Dio.

Al Tempio per la Pasqua - Il nostro Giuseppe andava poi con i suoi genitori al Tempio di Gerusalemme nella solennità della Pasqua e, quando arrivava quel tempo, si faceva vedere allegro più del solito, mostrando di avere tutta la consolazione. Si preparava però a questa solennità con digiuni e preghiere, ammaestrato così dal suo Angelo. Quando era arrivato al Tempio, si metteva in ginocchio a pregare, stando immobile ore intere con ammirazione di chi lo osservava, specialmente perché era molto giovane. Qui riceveva grandi illuminazioni da Dio, e contemplando il gaudio della celeste Gerusalemme, pregava il suo Dio di mandare presto il Messia promesso, affinché per mezzo della Redenzione le anime potessero andare a godere quell'eterna beatitudine; e Dio si compiaceva molto delle sue suppliche. Suo padre portava poi larghe elemosine al Tempio che dava in mano al figlio, perché lui le offrisse e faceva questo perché conosceva il grande desiderio che il figlio aveva di fare l'elemosina, ed il nostro Giuseppe la faceva con tanto cuore ed allegrezza, che non c'è mai stato chi abbia tanto goduto nel ricevere quanto godeva Giuseppe nel dare e lo faceva con un'intenzione rettissima, donando di nuovo tutto se stesso a Dio. Aveva poi un grande desiderio di trattenersi a Gerusalemme per potere avere la comodità di andare spesso al Tempio; ed i suoi genitori, per compiacerlo, vi si trattenevano più del solito, ed in quel tempo il nostro Giuseppe non se ne andava mai dal Tempio se non per prendere il cibo ordinario e il riposo della notte; tutto il resto del tempo lo spendeva nel Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio di concedergli quel tanto che egli bramava.
Fece poi una promessa a Dio, che se egli fosse rimasto privo dei suoi genitori voleva andare ad abitare a Gerusalemme per avere la comodità di frequentare il Tempio, per il quale sentiva un affetto particolare. Dio gradì la promessa, e non mancò, con il tempo, di dargli la comodità di poterlo fare. Nel tempo che i suoi genitori si trattenevano a Gerusalemme, il nostro Giuseppe non fu mai visto vagare per la città a guardare cose curiose, come si fa solitamente a quell'età, né mai in compagnia di qualcuno. Riveriva i Ministri del Tempio mostrandosi tutto ossequioso, ed è per questo che era amato da tutti, avendone ognuno grande stima, sia per le larghe elemosine che faceva come anche per l'ottima indole che si scorgeva in lui; ma il nostro Giuseppe non fece mai conto di questo, era attento solo all'amore del suo Dio e a procurare di piacere a Lui solo e dargli gusto. Un giorno, fra gli altri, mentre pregava nel Tempio con più fervore del solito, udì la voce interiore del suo Dio che lo assicurò come le sue preghiere gli piacevano molto e che l'avrebbe esaudito in tutto quello che gli domandava. L'assicurò dell'amore grande che gli portava invitandolo ad un'amorosa corrispondenza. Fu tanta la gioia che Giuseppe provò nell'ascoltare questa voce che andò in estasi stando immobile ore intere godendo l'incomparabile dolcezza e soavità dello spirito del suo Dio. Ne rimase molto più infiammato ed acceso d'amore, e non voleva sentir parlare d'altro che di Dio e delle divine perfezioni e bramava con grande ardore di trovare una compagnia o un amico fedele con il quale potesse conversare delle divine grandezze e perfezioni, ma conoscendo che un amico simile non c'era, pregava il suo Dio di mandarglielo. Un giorno, mentre stava facendo questa supplica, udì di nuovo la voce interiore del suo Dio che gli disse come l'avrebbe consolato molto più di quello che egli desiderava. E questo era vero, perché sebbene allora non glielo avesse manifestato, gli fece la grazia di trattare con il Verbo Incarnato e con la sua purissima Madre; grazia assai maggiore di quello che egli bramava e domandava. Tutto consolato per la promessa, il nostro Giuseppe, aspettava l'esecuzione con desiderio e non lasciava di domandarla al suo Dio con grande insistenza, perché conosceva come Lui lo favoriva in tutto e gli si mostrava propizio. Aveva per Dio una somma gratitudine e lo ringraziava continuamente dei benefici, offrendosi tutto a lui senza alcuna riserva.

 

Desiderio del Messia - Tornato a Nazareth, sua patria, sembrava che non sapesse parlare d'altro che della magnificenza del Tempio e della fortuna di coloro che si trovavano lì e saliva più in alto con il suo discorso parlando della celeste Gerusalemme, e diceva: «Se tanto gusto si sperimenta nello stare nel Tempio di Gerusalemme, quale gusto e consolazione si sentirà nell'andare ad abitare nella casa propria dove il nostro Dio risiede, e quanto grande sarà la magnificenza di quel luogo? Preghiamo il nostro Dio che ci mandi presto il Messia promesso, affinché per suo mezzo siamo fatti degni di andare anche noi ad abitarvi dopo la morte». Diceva questo ai suoi genitori con tanto spirito e ardore che provavano anch'essi un grande desiderio e i loro cuori si accendevano nella brama della venuta del Messia, porgendone calde suppliche a Dio. Il nostro Giuseppe faceva questi discorsi, non solo con i suoi genitori e con quelli di casa, ma anche con tutti coloro che vi andavano, imprimendo nel cuore di tutti un vivo desiderio della venuta del Messia e diceva loro: «Pregate spesso il nostro Dio che si degni di abbreviare il tempo delle sue promesse. Beati noi se potessimo ottenere questa grazia, ed avere la sorte di vedere il Messia fra di noi! Quale fortuna sarebbe la nostra! Quanto vorrei spendermi tutto per servirlo ed onorarlo!».Alle volte la madre si prendeva gusto e gli diceva: «Che faresti tu, figlio mio, se potessi avere la bella sorte di vedere con i tuoi occhi il Messia?».Ed egli allora, alzando le mani al cielo, esclamava: «Che farei! Mi donerei tutto a Lui, offrendomi prontamente a servirlo sempre, e non lo lascerei mai».E la madre soggiungeva: «E non sai tu che la servitù costa molta fatica?». Ed egli allora diceva: «Non solo farei volentieri molte fatiche per servirlo, ma ne sarei felice se mi dovesse costare la vita stessa».E la madre soggiungeva: «Chi sa poi se gradirebbe la tua servitù, e se ti ammetterebbe al suo servizio?». Ed egli rispondeva: «È vero che io non sarei degno di questo, ma lo pregherei tanto fino a quando, mosso a pietà, accetterebbe la mia servitù, perché, come il nostro Dio è infinitamente buono, così anche il Messia sarà infinitamente buono. E come il nostro Dio gradisce le nostre suppliche ed orazioni, così il Messia gradirà la mia servitù». Alla fine la madre lo consolava con questa risposta: «Orsù, figlio mio, continua a supplicare il nostro Dio affinché si degni di mandarlo presto, perché spero che gradirà i tuoi desideri ed esaudirà le tue suppliche e tu resterai consolato nelle tue brame». E allora alzando le mani al cielo esclamava:«Piacesse al mio Dio che questo accadesse. Chi sarà più fortunato e contento di me!»