Settenario di meditazioni a San Giuseppe

(di sant'Alfonso Maria de' Liguori)

PRIMO GIORNO

Meditazione DEL VIAGGIO A BETTELEMME, DOVE NACQUE GESÙ
"Ascendit autem et Ioseph a Galilaea de civitate Nazareth in Iudaeam in civitatem David, quae vocatur Bethlehem" (Luc. 2. 4).

Considera i dolci colloquii che in questo viaggio dovette fare Maria con Giusepe della misericordia di Dio in mandare il suo Figlio al mondo per redimere il genere umano, e dell'amore di questo Figlio in venire a questa valle di lagrime a soddisfare colle sue pene e morte i peccati degli uomini.

Considera poi la pena di Giuseppe in vedersi in quella notte, in cui nacque il Verbo divino, discacciato con Maria da Bettelemme, sì che furono costretti a stare in una stalla. Qual fu la pena di Giuseppe in vedere la sua santa sposa, giovinetta di quindici anni, gravida vicino al parto tremar di freddo in quella grotta, umida ed aperta da più parti! Ma quanta poi dovette essere la sua consolazione, quando intese da Maria chiamarsi e dire: Vieni Giuseppe, vieni ad adorare il nostro Dio bambino, ch'è già nato in questa spelonca. Miralo quanto è bello: mira in questa mangiatoia su di questo poco fieno il Re del mondo. Vedi come trema di freddo, chi fa ardere d'amore i Serafini! Ecco come piange quegli ch'è l'allegrezza del paradiso!

Or qui considera qual fu l'amore e la tenerezza di Giuseppe, allorché mirò có propri occhi il Figlio di Dio fatto bambino; e nello stesso tempo udì gli Angeli che cantavano intorno al loro nato Signore, e vide quella grotta ripiena di luce! Allora genuflesso Giuseppe piangendo per tenerezza: Vi adoro, disse, vi adoro sì mio Signore e Dio; e qual sorte è la mia di essere il primo dopo Maria a vedervi nato! e di sapere che nel mondo voi volete esser chiamato e stimato figlio mio! Dunque lasciate che anch'io vi chiami e da ora vi dica: Dio mio e figlio mio, a voi tutto mi consagro. La mia vita non sarà più mia, sarà tutta vostra; ad altro ella non servirà che a servire voi, mio Signore.

Quanto più poi si accrebbe l'allegrezza di Giuseppe in veder venire in quella notte i pastori, chiamati dall'Angelo a vedere il lor nato Salvatore; ed indi i santi Magi, che vennero dall'oriente a riverire il Re del cielo venuto in terra a salvare le sue creature.

Preghiere:
Santo mio patriarca, vi prego per quella pena che aveste in veder nato il Verbo divino in una stalla, così povero, senza fuoco e senza panni, ed in sentirlo piangere per lo freddo che l'affliggeva: vi prego (dico) ad impetrarmi un vero dolore dé peccati miei, có quali sono stato causa delle lagrime di Gesù. E per quella consolazione che aveste poi, in vedere la prima volta Gesù bambino nato nel presepe, così bello e grazioso, onde il vostro cuore da quel punto cominciò ad ardere d'un amore più grande verso d'un amabile ed amante bambino, ottenetemi la grazia di amarlo anch'io con grande amore in questa terra, per venire un giorno poi a goderlo in paradiso.

E voi, o Maria, Madre di Dio e madre mia, raccomandatemi al vostro Figlio, ed ottenetemi il perdono di tutte le offese che gli ho fatte, e la grazia di più non offenderlo.

E voi, mio diletto Gesù, perdonatemi per amore di Maria e di Giuseppe, e datemi la grazia di potervi un giorno vedere in paradiso, per ivi lodare ed amare la vostra divina bellezza e la vostra bontà, che vi ha renduto bambino per amor mio. V'amo bontà infinita. V'amo, Gesù mio. V'amo, mio Dio, mio amore, mio tutto.


SECONDO GIORNO

Meditazione DEL VIAGGIO IN EGITTO

"Angelus Domini apparuit in somnis Ioseph dicens: Surge, et accipe Puerum et Matrem eius, et fuge in Aegyptum" (Matt. 2. 13.)

Avendo i santi Magi informato Erode che già era nato il Re dé giudei, il barbaro principe ordinò che fossero uccisi tutti i bambini che allora si ritrovavano d'intorno a Bettelemme. Onde volendo Dio liberare il suo Figlio per allora dalla morte, mandò per un Angelo ad avvisare Giuseppe che avesse preso il fanciullo e la madre, e fossero fuggiti in Egitto.

Considera qui la pronta ubbidienza di Giuseppe, il quale, ancorché l'Angelo non gli avesse prescritto il tempo della partenza, egli senza far dubbi, né in quanto al tempo né in quanto al modo d'un tal viaggio, né in quanto al luogo da fermarsi in Egitto, subito si accinge a partire. Onde subito ne avvisa Maria, e nella stessa notte, come giustamente vuole il Gersone, raccogliendo quei poveri strumenti del suo mestiere che potea portare, e che doveano poi servirgli in Egitto per alimentare la sua povera famiglia, s'avvia insieme colla sua sposa Maria, soli senza guida all'Egitto per un viaggio così lungo di quattro cento miglia (come portano) per monti, per vie aspre, e deserti. Or qual dovette esser la pena di S. Giuseppe in questo viaggio in vedere così patire la sua cara sposa, non avvezza a camminare, con quel caro bambino in braccio, che fuggendo lo portavano a vicenda or Maria, or Giuseppe, col timore d'incontrare ad ogni passo i soldati di Erode, nel tempo più rigido del verno, con pioggie, con venti e con nevi. Di che dovean cibarsi in questo viaggio, se non di un tozzo di pane portato dalla casa, o accattato per limosina! Dove la notte dovean dormire, se non in qualche tugurio vile, o alla campagna a cielo aperto, di sotto a qualche albero?

Stava sì bene Giuseppe tutto uniformato alla volontà dell'Eterno Padre, il quale volea che sin da bambino il suo Figlio cominciasse a patire, per soddisfare i peccati degli uomini; ma non potea il tenero ed amante cuore di Giuseppe non sentir la pena in vederlo tremare e in udirlo piangere per lo freddo e per gli altri incomodi che provava.

Considera finalmente quanto dovette soffrire Giuseppe nella dimora per sette anni in Egitto, in mezzo a gente idolatra, barbara e sconosciuta; poiché ivi non avea né parenti, né amici che potessero sovvenirlo; onde dicea San Bernardo che il santo patriarca per poter alimentar la povera sua sposa e quel divino fanciullo (che provvede di cibo tutti gli uomini e le bestie della terra) era costretto a faticare di notte e di giorno.

Preghiere:
Santo mio protettore, per quella pronta ubbidienza che voi sempre portaste al volere di Dio, ottenetemi dal vostro Gesù la grazia di ubbidire perfettamente á divini precetti. Ottenetemi nel viaggio che fa l'anima mia all'eternità, in mezzo a tanti nemici, di non perder mai la compagnia di Gesù e di Maria, sino all'ultimo punto di mia morte. Così accompagnato, tutti i travagli di questa vita e la stessa morte mi saranno dolci e cari.

O Maria, Madre di Dio, per quei patimenti che voi tenera donzella soffriste nel viaggio di Egitto, impetratemi forza di sopportare con pazienza e rassegnazione tutti gl'incomodi e le cose contrarie che mi avvengono.

E voi, mio caro Gesù, abbiate pietà di me. Oh Dio, voi innocente, che siete il mio Signore e Dio, avete voluto sin da bambino tanto patire per me, ed io peccatore poi, che tante volte m'ho meritato l'inferno, come sono stato tanto svogliato ed impaziente nel soffrire qualche cosa per voi? Signor mio, perdonatemi. Io per l'avvenire voglio sopportare quanto volete, e da ora mi offerisco a patire tutte le croci che voi m'invierete. Aiutatemi però colla vostra grazia, altrimenti io non vi sarò fedele. V'amo, Gesù mio, mio tesoro, mio tutto, e voglio sempre amarvi; e per darvi gusto, voglio patire quanto piace a voi.


TERZO GIORNO

Meditazione DELLO SMARRIMENTO DI GESÙ NEL TEMPIO

"Remansit puer Iesus in Ierusalem, et non cognoverunt parentes eius" (Luc. 2. 43.)

Venuto il tempo del ritorno dall'Egitto, ecco di nuovo l'Angelo avvisò Giuseppe che ritornasse col fanciullo e la madre nella Giudea. Considera San Bonaventura che in questo ritorno la pena di Giuseppe e di Maria fu maggiore che nell'andare: poich'essendo allora Gesù in età di sette anni in circa, egli era già così grande che non potea portarsi in braccio, ed era all'incontro così piccolo che non potea da sé far lungo viaggio; onde spesso quell'amabile fanciullo era costretto a fermarsi e buttarsi sulla terra per la stanchezza.

In oltre consideriamo la pena che intesero Giuseppe e Maria, ritornati che furono, quando dispersero Gesù nella visita fatta al tempio. Era Giuseppe avvezzo a godere la dolce vista e compagnia del suo amato Salvatore; or quale fu poi il dolore, quando se ne vide privo per tre giorni, senza sapere se più l'avesse a ritrovare? e senza saperne la cagione, che fu la sua pena maggiore, poiché temeva il santo patriarca per la sua grande umiltà, che forse a cagion di qualche suo difetto Gesù avesse determinato di non vivere più in sua casa, stimandolo non più degno della sua compagnia e dell'onore di assistergli, con aver cura d'un tanto tesoro.

Non v'è maggior pena ad un'anima, che ha posto in Dio tutto il suo amore che 'l dubitare d'averlo disgustato. Non vi fu sonno in tutti quelli tre giorni per Maria e Giuseppe, ma un continuo piangere, cercando il loro diletto, siccome la stessa Vergine gli disse poi, quando lo ritrovò nel tempio: "Fili, quid fecisti nobis sic? Ecce pater tuus et ego dolentes quaerebamus te" (Luc. 2. 48). Figlio, e qual pena amara ci avete fatta provare in questi giorni, in cui siamo andati piangendo sempre cercandovi, senza trovarvi e senza potere aver nuova di voi.

Consideriamo all'incontro l'allegrezza di Giuseppe in aver poi ritrovato Gesù; ed in sapere che la cagione di allontanarsi non era stata qualche sua mancanza, ma l'amore alla gloria dell'Eterno suo Padre.

Preghiere:
Santo mio patriarca, voi piangete per avere smarrito Gesù; ma voi sempre l'avete amato, ed egli sempre ha amato voi, e v'ha amato tanto che v'ha eletto per suo aio e custode della sua vita. Lasciate piangere a me, che per le creature e per li miei capricci ho lasciato e perduto tante volte il mio Dio, disprezzando la sua divina grazia. Ah santo mio, per li meriti della pena che provaste in avere smarrito Gesù, impetratemi lagrime per piangere sempre l'ingiurie fatte a questo mio Signore. E per quella allegrezza che aveste poi in ritrovarlo nel tempio, ottenetemi la sorte di ritrovarlo anch'io ritornato colla sua grazia nell'anima mia, e di non perderlo mai più.

E voi, madre mia Maria, voi che siete il rifugio dé peccatori, non mi abbandonate, abbiate pietà di me. S'io ho offeso il vostro Figlio, ora me ne pento con tutto il cuore; e son pronto a perdere mille volte la vita, prima che perdere la sua divina grazia. Pregatelo che mi perdoni e che mi dia la sua santa perseveranza.

E voi, mio caro Gesù, se non mi avete perdonato ancora, perdonatemi in questo giorno. Io detesto e odio tutte l'ingiurie che v'ho fatte; me ne dispiace, vorrei morirne di dolore. Io v'amo, e perché v'amo, stimo più il vostro amore e la grazia vostra, che tutti i regni del mondo. Signore, aiutatemi, acciocch'io sempre v'ami e non v'offenda più.


QUARTO GIORNO

Meditazione DELLA CONTINUA COMPAGNIA CH'EBBE IL SANTO PATRIARCA CON GESÙ

"Et descendit cum eis, et venit Nazareth, et erat subditus illis" (Luc. 2. 51.)

Gesù dopo essere stato ritrovato nel tempio da Maria e da Giuseppe, ritornò con essi alla loro casa di Nazaret, e visse con Giuseppe sino alla di lui morte, ubbidendogli come a suo padre.

Consideriamo qui la santa vita ch'indi menò Giuseppe colla compagnia di Gesù e di Maria. In quella famiglia non v'era altro affare, se non della maggior gloria di Dio; non v'erano altri pensieri e desiderii che di piacere a Dio: non v'erano altri discorsi che dell'amore che gli uomini debbono a Dio, e che Dio porta agli uomini, specialmente in aver mandato al mondo il suo Unigenito a patire ed a finire la vita sua in un mare di dolori e di disprezzi per la salute dell'uman genere.

Ah con quante lagrime doveano Maria e Giuseppe, già bene intesi delle divine Scritture, parlare alla presenza di Gesù della di lui penosa passione e morte! Con quanta tenerezza doveano andare discorrendo, secondo dice Isaia, che il loro diletto dovea esser l'uomo dé dolori e dé disprezzi; che doveano i nemici talmente difformarlo che più non fosse conosciuto bello qual'era; che talmente doveano có flagelli lacerargli e pestargli le carni, che dovea comparire come un lebbroso, tutto pieno di piaghe e di ferite; che il loro amato pegno dovea tutto soffrire con pazienza, senza neppur aprir la bocca e lamentarsi di tanti strazii, e come un agnello farsi condurre alla morte, e finalmente appeso ad un legno infame in mezzo a due ladri dovea a forza di tormenti finir la vita. Or considerate gli affetti di dolore e di amore, che in tali colloquii doveano destarsi nel cuore di Giuseppe.

Preghiere:
Santo mio patriarca, per quelle lagrime che spargeste in contemplare la futura passione del vostro Gesù, impetratemi una continua memoria e tenerezza dé dolori del mio Redentore. E per quella santa fiamma d'amore che in tali colloqui e pensieri si accendeva nel vostro cuore, ottenetene una scintilla all'anima mia, che có suoi peccati ha avuta gran parte nel far patire Gesù.

E voi, Maria, per quanto soffriste in Gerusalemme alla vista dé tormenti e della morte del vostro caro Figlio, impetratemi un gran dolore dé miei peccati.

E voi, mio dolce Gesù, che per amor mio avete tanto patito, e siete morto, fate ch'io non mi scordi mai d'un tanto amore. Mio Salvatore, la vostra morte è la speranza mia. Io credo che siete morto per me. Io spero dai vostri meriti la mia salute. Io v'amo con tutto il cuore, v'amo più d'ogni cosa, v'amo più di me stesso. V'amo, e per vostro amore son pronto a soffrire ogni pena. Mi dispiace più d'ogni male l'aver disgustato voi sommo bene. Altro non desidero che amarvi e darvi gusto. Aiutatemi, Signor mio, non permettete ch'io m'abbia mai più a separare da voi.


QUINTO GIORNO

Meditazione DELL'AMORE DI GIUSEPPE, CHE PORTÒ A MARIA ED A GESÙ

"Et descendit cum eis (Iesus), et venit Nazaret; et erat subditus illis" (Luc. 2)

Considerate per prima l'amore che portò Giuseppe alla sua santa sposa. Ella era già la più bella, che mai fosse stata fra le donne: ella era la più umile, la più mansueta, la più pura, la più ubbidiente e la più amante di Dio, che non v'è stata, né vi sarà fra tutti gli uomini e fra tutti gli Angeli; onde meritava tutto l'amore di Giuseppe, ch'era così amante della virtù. Aggiungete l'amore col quale egli si vedeva amato da Maria, che certamente nell'amore preferì il suo sposo a tutte le creature. Egli poi la considerava come la diletta di Dio, scelta ad esser la Madre del di lui Unigenito. Or da tutti questi riguardi considerate qual doveva esser l'affetto che 'l giusto e grato cuore di Giuseppe conservava verso questa sua amabile sposa.

Considerate per secondo l'amore, che Giuseppe portò a Gesù. Avendo Dio assegnato il nostro santo in luogo di padre a Gesù, certamente gli dovette infondere nel cuore un amore di padre, e padre di tal figlio sì amabile, ch'era insieme Dio; onde l'amor di Giuseppe non fu puramente umano, com'è l'amore degli altri padri, ma un amore soprumano, ritrovando nella stessa persona il suo figliuolo e 'l suo Dio. Ben sapea Giuseppe per certa e divina rivelazione avuta dall'Angelo che quel fanciullo, da cui si vedea sempre accompagnato, era il Verbo divino che per amore degli uomini, ma specialmente di lui s'era fatt'uomo. Sapea ch'egli stesso l'avea fra tutti eletto per custode della sua vita, e volea esser chiamato suo figlio.

Or considerate che incendio di santo amore si dovea accendere nel cuore di Giuseppe in considerare tutto ciò, ed in vedere il suo Signore, che da garzone lo serviva ora in aprire e serrar la bottega, ora in aiutarlo a segare i legnami, in maneggiar la pialla e l'ascia, ora in raccogliere i frammenti e scopar la casa; in somma che l'ubbidiva in tutto quello che gli ordinava, anzi che non facea cosa alcuna senza la di lui ubbidienza, che gli osservava come padre. Quali affetti doveano destarsi nel suo cuore in portarlo in braccio, in accarezzarlo e ricevere le carezze che gli rendea quel dolce fanciullo! in ascoltare le di lui parole di vita eterna, che divenivano tutte saette amorose a ferire il suo cuore, e specialmente poi in osservare i santi esempii che gli dava quel divin garzoncello di tutte le virtù!

La lunga familiarità delle persone che s'amano, alle volte raffredda l'amore, perché gli uomini quanto più lungamente fra di loro conversano, più l'uno conosce i difetti dell'altro. Non così avveniva a Giuseppe; quanto di più egli conversava con Gesù, più conosceva la di lui santità. Da ciò pensate, quanto egli amò Gesù, avendo (come portano gli autori) goduta la sua compagnia per lo spazio di venticinque anni.

Preghiere:
Santo mio patriarca, io mi rallegro della vostra sorte e grandezza, in esser fatto degno di poter comandare come padre e farvi ubbidire da colui al quale ubbidiscono il cielo e la terra. Santo mio, giacché voi siete stato servito da un Dio, io ancora voglio mettermi alla vostra servitù. Voglio servirvi da oggi avanti, onorarvi ed amarvi come mio signore. Accettatemi voi sotto il vostro patrocinio, ed ordinatemi quel che vi piace. So che quanto mi direte, tutto sarà per mio bene e per gloria del mio e vostro Redentore. San Giuseppe mio pregate Gesù per me. Egli certamente non vi negherà mai niente, avendo ubbidito in terra a tutti i vostri comandi. Ditegli che mi perdoni le offese che gli ho fatte. Ditegli che mi stacchi dalle creature e da me stesso; mi infiammi del suo santo amore, e poi faccia di me quel che gli piace.

E voi, Maria santissima, per l'amore che vi portò Giuseppe, accoglietemi sotto il vostro manto; e pregate questo vostro santo sposo che mi accetti per suo servo.

E voi, mio caro Gesù, che per pagare le mie disubbidienze voleste umiliarvi ad ubbidire ad un uomo, deh per li meriti di quella ubbidienza, che in terra portaste a Giuseppe, datemi la grazia di ubbidire da oggi avanti a tutti i vostri divini voleri; e per l'amore che portaste a Giuseppe ed egli portò a voi, concedetemi un grande amore verso di voi bontà infinita, che meritate d'essere amato con tutto il cuore. Scordatevi dell'ingiurie che v'ho fatte, ed abbiate pietà di me. V'amo, Gesù amor mio, v'amo mio Dio, e voglio sempre amarvi.


SESTO GIONO

Meditazione DELLA MORTE DI S. GIUSEPPE

"Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius" (Psalm. 115. 15)

Considera come S. Giuseppe, dopo aver egli usata una fedel servitù a Gesù e a Maria, giunse alla fine di sua vita nella casa di Nazzaret. Ivi circondato dagli Angioli ed assistito dal Re degli Angioli Gesu-Cristo e da Maria sua sposa, che gli si posero a canto dall'uno e dall'altro lato del suo povero letto, con questa dolce e nobile compagnia con pace di paradiso uscì da questa misera vita. Dalla presenza di tale sposa e di tal figlio, quale degnavasi di chiamarsi il Redentore, fu renduta troppo dolce e preziosa la morte di Giuseppe.

E come mai poteva a lui riuscire amara la morte, mentre moriva in braccio alla vita? Chi mai potrà spiegare o intendere le pure dolcezze, le consolazioni, le speranze beate, gli atti di rassegnazione, le fiamme di carità, che spiravano al cuore di Giuseppe le parole di vita eterna, che a vicenda or Gesù, or Maria gli diceano in quell'estremo del suo vivere? Molto ragionevole perciò è l'opinione che riferisce S. Francesco di Sales che S. Giuseppe morisse di puro amore verso Dio.

Tale fu la morte del nostro santo, tutta placida e soave, senza angustie e senza timori, perché la sua vita fu sempre santa. Ma non può esser tale la morte di coloro, che un tempo hanno offeso Dio e s'han meritato l'inferno. Sì, ma certamente grande sarà il conforto che riceverà allora chi si vedrà protetto da S. Giuseppe, al quale avendo già un tempo ubbidito un Dio, certamente ubbidiranno i demonii, che dal santo saranno discacciati ed impediti a tentare in morte i suoi divoti. Beata quell'anima che in tal punto è assistita da questo grande avvocato, al quale, per essere egli morto coll'assistenza di Gesù e di Maria, e per aver liberato Gesù bambino dá pericoli della morte con trafugarlo in Egitto, sta concesso il privilegio d'essere il protettore della buona morte, e di liberare i suoi divoti moribondi dal pericolo della morte eterna.

Preghiere:
Santo mio protettore, a voi con ragione toccò quella santa morte, perché fu santa tutta la vostra vita. A me con ragione mi spetterebbe una morte infelice, perché me l'ho meritata colla mia mala vita. Ma se voi mi difendete, io non mi perderò. Voi non solo siete stato grande amico del mio giudice, ma siete stato ancora il suo custode ed aio. Se voi mi raccomandate a Gesù, egli non saprà condannarmi.

Santo mio patriarca, io vi eleggo dopo Maria per mio principale avvocato e protettore. Vi prometto nella vita che mi resta di onorarvi ogni giorno con qualche ossequio speciale e con mettermi sotto il vostro patrocinio. Io non lo merito, ma voi per l'amore che portate a Gesù ed a Maria, accettatemi per vostro servo perpetuo. E per quella dolce compagnia che Gesù e Maria vi fecero in vostra vita, proteggetemi sempre nella mia vita, acciocch'io non mi divida mai da
Dio con perdere la sua grazia. E per quell'assistenza che Gesù e Maria vi fecero in morte, proteggetemi specialmente nell'ora della morte mia: affinché io morendo accompagnato da voi, da Gesù e da Maria, venga un giorno a ringraziarvi in paradiso, ed in vostra compagnia a lodare ed amare in eterno il vostro Dio.

Vergine santissima, speranza, mia, voi già sapete che prima per li meriti di Gesù Cristo e poi per la vostra intercessione io spero di fare una buona morte e di salvarmi. Madre mia, non mi abbandonate mai, ma specialmente assistetemi nel gran punto della morte mia; ottenetemi la grazia di spirare chiamando ed amando voi e Gesù.

E voi, caro mio Redentore, che un giorno avete da essere il giudice mio, deh perdonatemi tutte le offese che vi ho fatte, delle quali mi pento con tutta l'anima: ma perdonatemi presto, prima che venga l'ora della mia morte, in cui mi avete da giudicare.

Misero me, che ho perduto tanti anni e non v'ho amato! Deh datemi voi la grazia d'amarvi e d'amarvi assai in questo poco o molto di vita che mi resta. E quando sarà giunta l'ora del mio passaggio da questa vita all'eternità, fatemi morire ardendo d'amore verso di voi. V'amo, mio Redentore, mio Dio, mio amore, mio tutto: ed altra grazia non vi cerco che la grazia d'amarvi; e desidero e vi domando il paradiso per amarvi con tutte le mie forze e per tutta l'eternità. Amen, così spero, così sia.

Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia.

Gesù, Giuseppe e Maria, in quell'estrema agonia, fatemi morire in vostra compagnia.


SETTIMO GIORNO

 

Meditazione DELLA GLORIA DI S. GIUSEPPE

"Euge serve bone et fidelis, quia in pauca fuisti fidelis, intra in gaudium Domini tui" (Matth. 25. 21)
La gloria che Dio dona ai suoi santi in cielo corrisponde alla santità della vita ch'essi han menata in terra. Per comprendere la santità di S. Giuseppe, basta intendere solamente quel che ne dice l'Evangelio: "Ioseph autem vir eius, cum esset iustus" (Matt. I. 19). Uomo giusto viene a dire uno che possiede tutte le virtù; mentre chi manca in una sola virtù, non può dirsi più giusto. Or se lo Spirito Santo chiamò giusto Giuseppe, allorché fu eletto sposo di Maria, considerate quale abbondanza di amor divino e di tutte le virtù trasse poi il nostro Santo dá colloquii e dalla continua conversazione della santa sua sposa, che gli dava un perfetto esempio in tutte le virtù. Se una sola voce di Maria bastò a santificare il Battista ed a riempire di Spirito Santo Elisabetta, or a quale altezza di santità dobbiam pensare che fosse giunta la bell'anima di Giuseppe colla compagnia e familiarità, che per lo spazio di 25 anni (secondo si porta) ebbe egli con Maria?

In oltre, quale altro accrescimento di virtù e di meriti dobbiam supponere che acquistasse Giuseppe, col praticare per lo spazio di trenta e più anni continuamente colla santità medesima, ch'era Gesù Cristo, in servirlo, alimentarlo ed assistergli in questa terra? Se Dio promette premio a chi dona un semplice bicchier d'acqua ad un povero per di lui amore, pensate qual gloria in cielo avrà data a Giuseppe, che lo salvò dalle mani di Erode, lo provvide di vesti e di cibo, lo portò tante volte in braccio, e l'allevò con tanto affetto. Certamente dobbiam credere che la vita di Giuseppe alla vista ed alla presenza di Gesù e di Maria era una continua orazione ricca d'atti di fede, di confidenza, d'amore, di rassegnazione e d'offerte.

Or se il premio corrisponde á meriti della vita, pensate qual sarà la gloria di Giuseppe in paradiso. S. Agostino paragona gli altri santi alle stelle, ma S. Giuseppe al sole. Il P. Suarez dice essere molto ragionevole il sentimento che S. Giuseppe, dopo Maria, avanzasse in merito e gloria tutti gli altri santi. Dal che deduce il Ven. Bernardino da Bustis 6 che S. Giuseppe in certo modo in cielo comanda a Gesù e a Maria, allorché vuole impetrare qualche grazia á suoi divoti.

Preghiere:
Santo mio patriarca, or che godete in cielo in alto trono, vicino al vostro amato Gesù, che vi fu suddito in terra, abbiate pietà di me, che vivo in mezzo a tanti nemici, demòni e passioni malvagie, che continuamente mi stan combattendo, per farmi perdere la grazia di Dio. Deh per quella grazia che vi fu concessa in terra di poter godere la continua compagnia di Gesù e di Maria, ottenetemi la grazia di vivere in questi giorni, che mi restano, sempre unito a Dio, resistendo agli assalti dell'inferno e di morire poi amando Gesù e Maria: acciocché possa indi venire un giorno insieme con voi a goder la loro compagnia nel regno dé beati.

Vergine santissima e madre mia Maria, quando sarà ch'io libero dal timore di più peccare mi abbracci á piedi vostri, per non partirmene più? Voi m'avete d'aiutare a giungere a questa felicità.

E voi, amato mio Gesù, caro mio Redentore, quando sarà ch'io venga a godervi in paradiso e ad amarvi da faccia a faccia, sicuro ivi di non potervi più perdere? Sintanto che vivo, sempre sto in questo pericolo. Ah mio Signore ed unico mio bene, per li meriti di Giuseppe, che voi tanto amate e tanto l'onorate in cielo e della vostra cara madre, ma più per li meriti della vostra vita e morte, coi quali mi avete meritato ogni speranza, non permettete ch'io mai m'abbia a separare dal vostro amore in questa terra; acciocché venga poi in quella patria d amore a possedervi e amarvi con tutte le mie forze, per non separarmi più dalla vostra presenza e dal vostro amore.



di san Alfonso M. de' Liguori